Come ogni prodotto che si rispetti e che ne sia meritevole anche la vastedda ha una storia, il cui protagonista è un pastore. Torniamo indietro nel tempo, all’avventura di un pastore sbadato che si scordò del formaggio che stava producendo. Quando se ne accorse era ormai troppo tardi e il formaggio era diventato acido; provò comunque a correggerlo immergendolo in acqua bollente, così accade qualcosa di imprevedibile: iniziò a filare. Il pastore lo appoggiò dunque su un piatto di ceramica, chiamato in dialetto Vastedda e, dopo il riposo necessario, assaggiandolo si rese conto di aver fatto un ottimo lavoro.
Ancora oggi dopo l’acidificazione, la filatura viene effettuata, e poi il formaggio viene lasciato riposare in appositi piatti di ceramica dove assume la tradizionale forma a focaccia. Passarono gli anni e la tradizione non andò perduta in Sicilia, in particolare in quella Valle, chiamata Valle del Belìce, da cui trae origine il nome della vastedda e anche la razza della pecora dalla quale si ottiene il latte per la realizzazione di tale formaggio.
In quest’areale, la passione e l’amore per gli animali e per la produzione artigianale sono state tramandate di mano in mano per tutte le generazioni della famiglia Cangemi.